T.TIVILLUS | Capitolo 1: Infanzia
Oggi vado per la prima volta dal dentista. Mamma ha detto che devo avere paura. Tutti i bambini ce l’hanno. Io no.
«È impossibile,» dice.
«Forse non ha ancora capito,» aggiunge papà, che si avvicina e mi chiede di aprire la bocca. «Il dentista te la tiene così, sì, brava, poi prende il trapano e…», fa un rumore strano con i denti e muove il dito che mi ha ficcato nella guancia. Io scoppio a ridere e papà fa un passo indietro, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
«Hai visto?»
«Cambierà idea quando lo vedrà con i suoi occhi.»
Io non so se succederà, ma a questo punto un po’ spero di sì. Alcuni miei compagni di scuola ci sono già stati. Dicono che è terribile, che fa un male cane e se tu urli lui non si ferma, non ti dà il tempo di piangere ché già ricomincia con il suo trrr. Io ascolto i loro racconti spalancando di nuovo la bocca per fingermi paurosamente sorpresa, ma nessuno mi crede.
«Sei strana,» mi dicono, e forse hanno ragione. Ho una voglia matta di vederlo da vicino, quel trapano, e di sentirlo fare trrr nella mia bocca. Non sto più nella pelle. Non faccio che guardare l’orologio, come se sapessi leggerlo.
«Che ore sono?»
«L’hai già chiesto cinque minuti fa. Sono le tre.»
«E a che ora dobbiamo andare?»
Mamma dice alle quattro. Manca ancora tantissimo tempo. Così me ne torno nella mia cameretta e mentre aspetto che arrivino le quattro mi metto a giocare con le Barbie. Prendo una sedia dallo scatolone con tutti i mobili e ci metto sopra la più nuova.
«Aspetta qui. Non ti muovere. Il dentista arriva subito,» poi vado a prendere una penna dall’astuccio di scuola e torno da lei. Per prima cosa bisogna disegnarle i denti. La striscia bianca che ha in mezzo alle labbra è ridicola. Ora che ci penso, perché nessuna Barbie ha i denti? Sono troppo brutti per una come lei?
«Sai che ti dico? Ora te li faccio io. E poi te li rompo pure. Così impari.»
Lei non dice nulla. Mi fissa e basta e allora io comincio. Faccio una linea piccola sulla striscia bianca. Non si vede bene, ricalco. Ora sì che è nero. Ne faccio un’altra a fianco e un’altra ancora. A un certo punto finisco lo spazio e in bocca le restano soltanto quattro denti grandi e storti. Veramente brutti per una come Barbie. Bisognerebbe sistemarglieli, ma lei non li ha mai avuti. Non merita di avere denti belli. Stringo la penna tra le dita, torno sulla prima linea, il primo dente, e premo così forte da bucare la plastica. C’è un buco nella bocca di Barbie, adesso. Presto ne compare un altro e alla fine Barbie ha quattro buchi in bocca.
«Fa male, vero?»
Lei continua a non rispondere. Mi fissa con quella sua faccia tutta rilassata. Lo fa apposta, la odio. Per dispetto, io le sorrido.
Subito dopo, mamma mi annuncia che è ora di andare. Mi porto dietro la Barbie. Voglio farla vedere al dentista e chiedergli perché ho dovuto pensarci io.
Arriva il mio turno, mamma e papà entrano con me. Salutano il dentista e gli raccomandano di non farsi problemi, di andarci giù anche pesante, se necessario, perché sono una bambina strana che dice di non avere alcuna paura di lui. Lui annuisce, quindi si abbassa per salutarmi. Io lo guardo. Il suo viso è più bianco del camice che indossa, ma ha degli occhi grandi, belli, e un sorriso perfetto. Si vede che fa il dentista. È un po’ inquietante, ma un inquietante bello, come Ken. Ken sì che può avere i denti perfetti. Dopo aver abbassato la sedia, mi invita a sedere. Gli chiedo se posso tenere Barbie con me. «Ma certo!» Mi sorride e io penso di essermi appena innamorata.
Accende la luce, alza la sedia mentre poso lo sguardo sulla specie di tavolino che avvicina a sé. C’è il trapano, lo vedo. Chissà a che servono gli altri strumenti vicino. Sembrano dei cacciaviti.
«Tra un po’ cominciamo, eh. Allora, vediamo un po’ dov’è questa carie…»
Mi batte forte il cuore ma apro la bocca. Lui ci infila un bastoncino con un cerchio alla fine.
«Bruttina,» sussurra, poi prende uno dei cacciaviti vicino al trapano, mi spruzza qualcosa sul molare in basso. Lo spruzzo mi fa sussultare.
«Stai tranquilla. È una sciocchezza.»
Io scuoto il capo e provo a dire: «Non ho paufa, ma è fedda.»
«Un po’ di pazienza, su!» risponde, prima di prendere il trapano. Lo avvicina con cautela e io penso soltanto muoviti. Lui lo fa davvero. Senza avvisarmi o aspettare ancora, mette il trapano in bocca e inizia a premere. Ho aspettato così tanto questo momento, ora che è arrivato e sento il trrr che mi fa vibrare anche la testa… sono quasi delusa. Non mi fa male. Non mi piace. Non mi fa proprio nulla. Non sento niente. È normale? Vorrei chiederlo al dentista, ma non posso: ho la bocca troppo aperta per parlare. Lui, intanto, preme ancora, muove il trapano e a un certo punto la sento, una fitta. Ma non è dolorosa, anzi… mi piace. Proprio mentre lo penso, lui allontana il trapano e mi guarda preoccupato. Forse pensa che mi abbia fatto male, allora alzo il pollice e gli faccio segno che è tutto okay. Così lui ricomincia e le fitte aumentano. Continua, ti prego. E lui continua. È così concentrato… Così, sì. Sembra quasi che stia assecondando i miei pensieri. Non ti fermare più. E lui non si ferma. Non so quanto tempo passi, ma a un certo punto non ne posso più. Devo arrivare alla fine. Strappamelo, lo imploro. Lui si ferma, mi guarda negli occhi. Ha un sorriso diverso sulle labbra, adesso. Più bello di prima.
Giro la testa. Mamma è all'impiedi, di spalle contro la porta e parla al telefono con qualcuno. Papà è seduto sul divanetto con la testa sul cellulare. Starà sicuramente giocando a Candy Crash. Torno a fissare il dentista. Io non dico niente, ma la mia testa sì: fallo. E lui prende la pinza e tira. Mi prende una sensazione talmente bella in tutto il corpo che sospiro senza accorgermene. Un altro, per favore. Il suo sguardo sembra dirmi che non può, ma io spalanco gli occhi e se potessi metterei anche il broncio. Lui sospira a sua volta, mi aspira il sangue che mi sta riempiendo la bocca e poi riprende la pinza. Tira un altro dente, da qualche parte vicino al primo. Ancora, gli chiedo. Due non mi bastano. Voglio diventare come la mia Barbie. Il dentista abbassa la testa sulle mie mani che stringono la bambola sdentata. Gli faccio vedere il suo nuovo sorriso. Lui torna all’opera: mi tira un altro dente, stavolta da sopra. Stringo le mani intorno a Barbie, piego la schiena. Sento il sapore del sangue in bocca, ne ingoio un po’. Lui sembra contento. Ha una luce negli occhi che lo rende ancora più bello e io non so resistere. Quando mi dice che per oggi può bastare così, a me viene da piangere. Vorrei che continuasse, che mi togliesse tutti i denti. Invece lui torna serio, mi fa scendere dalla sedia dopo avermi fatto sciacquare la bocca. Glielo chiedo.
«Perché Barbie non ha i denti?»
Lui si stringe nelle spalle, come se la risposta fosse ovvia: «Perché non esiste,» poi prende uno specchio e me lo porge. È così che scopro che Ken sta mentendo, perché ho quattro buchi in bocca, proprio come Barbie.
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Francesca Barracca nasce in provincia di Caserta nel 1997. Laureata in Filologia Classica e lettrice lenta da quando ne ha memoria, recensisce libri come contributor per la testata Classicult. Da grande vuole diventare contemporaneamente veterinaria, maestra e scrittrice.