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Candeline

T.TIVILLUS | Capitolo 1: Infanzia



A Elia piacevano il cioccolato al latte, le anatre e Gardaland. La minestra, le api e anche la scuola, la maggior parte delle volte. Era un bimbo pieno di entusiasmo e lentiggini, sfoggiava un paio di occhi tanto azzurri quanto vispi. In quel momento, il biondo infantile era accecante, le sue manine circondavano gli spigoli del tavolo così come i suoi compagni di classe circondavano lui.

Gli piacevano le Ferrari, nascondino e i film d’azione. Si può dire che gli piacessero tante cose, ma una sola lo rendeva davvero entusiasta: la propria festa di compleanno. C’era qualcosa di magico nel gonfiare palloncini con papà, radunare tutti i suoi amichetti, sorridere all’obiettivo della videocamera di mamma e indossare un buffo cappellino a cono come fosse la corona di un re.

A Elia piaceva farsi cantare “Tanti auguri” e soffiare le candeline sulla torta. Amava le attenzioni, sentiva emozioni davvero forti in quella dinamica così colorata. Era arrivato a detestare il fatto che si festeggiasse il compleanno un solo giorno su 365, gli pareva davvero ingiusto. Avrebbe voluto che ogni giorno fosse il suo giorno. E in quel tre giugno, coi sorrisi che lo attorniavano a mo’ di pipistrelli in una caverna, sapeva cosa desiderare prima di spegnere le candeline sulla teglia di tiramisù, era l’unica cosa che voleva davvero. Non ci pensò due volte.

I suoi piccoli, puri polmoni crearono un soffio debole ma sufficiente per spegnerle tutte e otto. Seguì un fruscio di applausi e qualche fischio d’incitamento. Il sorriso da pubblicità di Elia non abbandonò le sue labbra fino a quando non si addormentò ore dopo, nel suo lettino. A svegliarlo, l’indomani, fu un bussare alla porta delicato.

Elia vide subito sua mamma sull’uscio. Sfoggiava un sorriso candido mentre si avvicinava a lui con un pacchetto rosso tra le mani. Lo stesso pacchetto della mattina prima, con un nastro bianco identico a imprigionare la scatola. La madre gli mormorò un “Buon compleanno”, inginocchiandosi nello stesso momento in cui Elia si mise su col busto. Spostò la coperta e prese in mano il regalo. Un po’ confuso, la ringraziò, ricordandole però che aveva già compiuto gli anni il giorno prima.

Lei scoppiò in un riso e lo accarezzò. Il figlio, se prima frastornato, si decise ad ammettere che stesse vivendo un sogno molto realistico. Si pizzicò un paio di volte durante la giornata, ma nulla cambiò. Né quando scartò il regalo, né quando scese per pranzare coi parenti, tanto meno quando gli invitati alla sua festa di compleanno si presentarono davanti casa.

Elia era sì inquieto, ma anche felice: a quale bambino può capitare di festeggiare gli otto anni per la prima volta due giorni di seguito?

Nel momento in cui la madre lo incitò a esprimere un desiderio prima di spegnere le candele, però, Elia le contò in velocità. Questa volta erano nove. Ammutolito da questa rivelazione, passò il resto del pomeriggio a far finta di niente, recitò la parte del festeggiato senza destare sospetti. Come se tutto fosse nella norma.



La mattina successiva, Elia si guardò allo specchio vicino all’armadio: si era alzato di qualche centimetro. Era inciampato di faccia in una spirale dove l’unica cosa a pagare il prezzo dell’irreversibilità era soltanto il suo corpo.

Certo, il suo desiderio era che ogni giorno fosse il suo compleanno. Non ci mise troppo a rendersi conto che doveva trovare un modo per interrompere quella vertigine: se dal tre giugno ogni giorno era un compleanno, significava che a fine mese ne avrebbe compiuti trentacinque. In un anno quanti sarebbero stati? Non ci voleva pensare.

Elia le tentò tutte: a cambiare il desiderio prima di spegnere le candeline, a far cadere la torta dal tavolo, a non addormentarsi dopo la festa, a parlarne con tutti i presenti. Niente, nel giro di qualche giorno le sue gambe si fecero troppo lunghe per il lettino, i piedi gli sostavano a mezz’aria. Per i diciassette anni, sembrò arrendersi.

Lasciò che questa sua vita gli scivolasse addosso: non si guardava più allo specchio, sentiva solo una barba sempre più lunga farsi spazio sul suo viso. A trenta, quarant’anni, cinquant’anni si svegliava accartocciato in un pigiama a cui erano saltati i bottoni, che manco gli entrava interamente. Apriva il regalo di una madre diventata sua coetanea. Le candeline, sempre più numerose, avevano ormai da settimane seppellito interamente il tiramisù, erano le tombe di un cimitero.



I giorni continuavano a ripetersi, gli anni ad aumentare, così come le rughe sul volto di Elia, le dita sempre più gialle, i passi sempre più sofferti. Quanti anni aveva? Se n’era perso il conto. Quella sera, sua mamma, che sembrava ormai sua nipote, gli chiese di esprimere un desiderio. Dovette ripetergli tale richiesta un paio di volte, l’udito stava peggiorando. Elia, guardando tutte quelle candeline accese davanti a sé, sapeva cosa desiderare prima di spegnerle. Era l’unica cosa che voleva davvero. Non ci pensò due volte. Voleva morire. I presenti tacquero, imbarazzati e confusi. L’indomani Elia si svegliò nel letto, un anno più vecchio.




Mauro Colarieti sta dietro a T.Tivillus. Nasce e cresce nella bergamasca, ora è dottorando in ludonarrativa alla Cattolica. I suoi racconti brevi appaiono su riviste letterarie quali Narrandom, Topsy Kretts e Nido di Gazza. Da grande vuole fare l’attore.

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